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Scritte durante gli anni di detenzione, molti dei quali passati in carceri di massima sicurezza, queste poesie sono state composte in condizioni di prigionia particolarmente pesanti, dove è ancora più difficile coltivare un pensiero, un affetto. Attraverso questa forma letteraria, Notarnicola ha inteso coltivare tutto ciò che gli è stato sottratto: gli affetti e i sentimenti più intimi, come il ricordo dei compagni caduti. Le poesie sono anche il mezzo che ha per rompere l’isolamento, sono una voce, un grido, un urlo che spazza via il muro di cinta della prigione. Poesie che esprimono rabbia e delusione, ma anche tenacia e sicurezza delle proprie convinzioni politiche. Sono uno strumento che è stato un motivo di resistenza, sono la memoria di una vita che ha avuto il carcere come momento centrale, come terreno di lotta, di scontro e di maturazione.
Sante Notarnicola (Castellaneta, 1938), emigrato con la madre e i fratelli a Torino, trascorre l’infanzia in collegio. Il contatto con la realtà operaia torinese lo porta alla presa di coscienza politica e alle prime esperienze di militanza nella FGCI e poi nel PCI. Allontanatosi dal Partito, si avvicina alla banda Cavallero con cui nel 1959 inizia una serie di rapine. Il 25 settembre 1967 a Milano, durante l’ultimo colpo della banda, c’è un conflitto a fuoco con la polizia: Sante riesce a scappare, ma viene catturato alcuni giorni dopo. Condannato all’ergastolo, in carcere inizia a studiare e scrivere racconti e poesie, che confluiranno ne L’evasione impossibile (1972), primo di una serie di libri di grande successo.
Alexkit - "Carmillaonline", 6 aprile 2019
"Memorie dei dannati della terra"
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Alessandro Barile - "Le Monde Diplomatique", 22 febbraio 2019
"Prigioni"
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